Emergenza COVID-19: riflessioni sui contratti di locazione

Emergenza COVID-19: riflessioni sui contratti di locazione

Assistiamo in questi giorni alla proliferazione e diffusione di moduli prestampati e bozze dal contenuto para giuridico, scaricabili on line al mero costo di una registrazione sui siti di associazioni di categoria ed agli stessi si attribuisce – spesso acriticamente – piena fiducia e autorevolezza.

Tra questi documenti ci si può imbattere con impressionante frequenza in istanze a supporto dei conduttori di immobili adibiti ad uso non abitativo.

Comune denominatore in tali moduli l’attribuzione al conduttore di un diritto ad ottenere unilateralmente la sospensione delle scadenze contrattuali nonché alla rideterminazione su base equitativa del canone, in pendenza delle restrizioni e misure conseguenti alla diffusione del Coronavirus.  

Una riflessione in merito, anche al fine di non ingenerare confusione e per meglio orientare le strategie difensive, si impone. 

Ad avviso dello scrivente, ciò che risulta primario valutare è l’interazione e la possibile compatibilità delle agevolazioni fiscali introdotte in favore della parte conduttrice dal Decreto Legge 18/2020 (c.d. “Cura Italia”) rispetto alle norme ed agli istituti posti dal codice civile e dalla disciplina speciale sulle locazioni commerciali (Legge 392/1978).

Va anzitutto evidenziato che, in tema di principali obbligazioni facenti capo al conduttore, la normativa di riferimento prevede che – rispetto alle concorrenti obbligazioni poste a carico del locatore (vale a dire, ai sensi degli artt. 1575 e 1576 c.c., immettere il conduttore nel pacifico godimento del bene, mantenere l’immobile secondo l’uso pattuito e garantire lo stesso da vizi e/o molestie nell’esercizio del proprio diritto) – il conduttore deve corrispondere i canoni di locazione pattuiti “nei termini convenuti”, così come disposto dall’art. 1587 c.c.

Appare anche utile sottolineare che la giurisprudenza – con orientamento univoco e a più riprese ribadito nel tempo – ha chiarito che “al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti” (Cass., Sez III Civile, Sent. 27.09.2016, n. 18987; Cass., Sez. III Civile, Sent. 10.01.2008, n. 261).

Le norme civilistiche ed i principi giurisprudenziali sopra richiamati vanno a questo punto correlati al disposto dell’art. 65 del D.L. 18/2020 con cui è stato previsto, a favore dei soggetti conduttori esercenti attività di impresa e con esclusione allo stato degli affitti di azienda, un credito di imposta pari al 60% del canone di locazione “relativo al mese di marzo 2020” per gli immobili di categoria catastale C1 (categoria nella quale rientrano gli immobili adibiti a “barbieri, modiste, orologiai, nonché gli uffici telefonici, le ricevitorie postali, i banchi del lotto, le esattorie delle imposte dirette, le agenzia bancarie o assicurative, le biglietterie, le sale d’aspetto delle linee automobilistiche di servizio pubblico, ambulatori medici, ecc. posti in comuni locali che hanno ingresso diretto dalla strada pubblica e le comuni caratteristiche dei locali per bottega, i locali adibiti ad esposizione o a “music-store” ed in genere quei singoli o gruppi di locali – costituenti unità immobiliari – dove si effettua la vendita, con prevalenza al dettaglio, di merci, di manufatti, prodotti, derrate, ecc. e quei locali dove la vendita si accompagna con prestazioni di servizio come, ad esempio, trattorie e ristoranti, pizzerie, panetterie - intese come locali di vendita al minuto del pane-, bar, caffè, ecc.”).

La norma sul credito di imposta sembrerebbe, dunque, presupporre che il canone di locazione di marzo 2020 sia normalmente dovuto e da corrispondersi regolarmente. 

Da ciò dovrebbe desumersi la linea d’azione assunta dal Governo e la ratio stessa del provvedimento emanato: non vengono introdotti meccanismi di automatica interruzione del canone di locazione, non viene normata la possibilità di procedere con un pagamento “a stralcio” dell’ammontare pattuito a titolo di affitti né viene indicata una misura percentuale predeterminata della riduzione del canone. Ciò che viene previsto è una forma di aiuto al conduttore, corrispondente ad un credito di imposta del 60% dell'importo del canone di locazione relativo al mese di marzo 2020 sulla base del presupposto, condizionante l’accesso a tale sostegno fiscale, che il canone sia preventivamente corrisposto da parte del conduttore. 

Da quanto appena detto parrebbe potersi giungere ad una prima conclusione in base a cui ad oggi – anche a seguito dei provvedimenti legislativi nell’attuale contesto emergenziale – non vi è alcuna norma di carattere ordinario ovvero speciale che consenta espressamente, in via diretta ed immediata, al conduttore di un immobile commerciale di procedere in autonomia alla sospensione, ovvero alla riduzione, del canone di locazione nell’ipotesi in cui la propria attività sia stata, suo malgrado, interdetta dai provvedimenti governativi e regionali emessi nel corso dell’attuale situazione di emergenza sanitaria. 

Sarebbe, infatti, contraddittorio oltre che illogico da un lato riconoscere un supporto al conduttore, mediante il menzionato credito di imposta e dall’altro ricollegare tale beneficio alla mancata corresponsione del relativo canone. Ragionando in questo modo si giungerebbe ad un risultato evidentemente contra legem, in quanto vi sarebbe il riconoscimento di un credito d’imposta, peraltro in una misura rilevante pari al 60%, su un “non pagamento” e ciò evidentemente non può essere e tantomeno è previsto dall’art. 65 del D.L. 18/2020.

Parrebbe maggiormente coerente con la ratio della disposizione in esame una lettura orientata ad un equo contemperamento degli interessi di entrambe le parti contrattuali; il che porterebbe, pertanto, a ritenere non condivisibili o quantomeno parziali l’interpretazione di tale norma effettuata nella sola ottica della parte conduttrice, senza che vengano tenuti nella debita considerazione gli obblighi che permangano in capo alla proprietà – e su cui il Decreto “Cura Italia” non è intervenuto – in termini di pagamento di tasse ed imposte anche sui canoni di locazione non percepiti.

Fatto salvo quanto appena detto, occorre tuttavia anche interrogarsi sull’incidenza di tale agevolazione fiscale e dell’ulteriore previsione di cui all’art. 91, comma 1, del D.L. 18/2020 rispetto all’esecuzione dei contratti di locazione ed all’applicabilità dei rimedi generali previsti dalla normativa ordinaria e speciale in materia di locazione.

In particolare, il citato art. 91 del D.L. 18/2020, nel disporre testualmente che “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.”, risulterebbe introdurre la possibilità che sia esclusa a carico del conduttore, in dipendenza della diffusione del virus e del blocco dell’attività, le maggiorazioni di carattere legale e/o negoziale derivanti dalla mora nei pagamenti.

In questo quadro, allora, il conduttore di immobili commerciali che si trovi in difficoltà a causa della chiusura della propria attività potrebbe trovarsi dinanzi alla valutazione se sospendere il canone di locazione avvalendosi dei rimedi di legge e di quanto previsto dal succitato art. 91 D.L. 98/2020 ovvero corrispondere comunque i canoni ed avvalersi del credito di imposta.

Nell’operare tale valutazione, ad avviso dello scrivente, andrebbe considerato che, mentre il credito di imposta costituisce ad oggi un sostegno certo e spettante per legge, la sospensione del pagamento dei canoni di locazione ed ancor meno la sua unilaterale riduzione parrebbero – sulla scorta di quanto esposto sopra – opzioni meno sicure in quanto esposte alla contestazione del locatore ed, in ipotesi di contenzioso, alla necessaria valutazione giudiziale.

L’esame di tali fattispecie allo stato è necessariamente confinato al solo dato normativo ma cionondimeno non può escludersi che il vaglio giudiziale che verrà ingenerato da futuri contenziosi possa orientarsi nel ritenere l’inadempimento del conduttore/affittuario che non abbia provveduto al regolare pagamento dei canoni, quantomeno nella misura soggetta al predetto beneficio fiscale.

Peraltro, ulteriore elemento che andrebbe tenuto in debita considerazione da parte del conduttore è che, in assenza di accordo con il locatore, la sospensione del pagamento del canone non equivarrebbe ad uno stralcio definitivo dei canoni ma – anche ove fosse dichiarata legittima – varrebbe unicamente a postergare il termine di pagamento del canone che resterebbe comunque dovuto una volta superata la fase emergenziale e ripresa l’attività commerciale. Il che parrebbe in linea anche rispetto agli esiti di una lettura unitaria degli art. 65 e 91 del D.L. 18/2020 che consentirebbero di ritenere che il credito di imposta possa comunque spettare al locatore anche laddove il canone relativo al mese di marzo 2020 venisse corrisposto tardivamente a seguito della sospensione del pagamento.

A ciò si aggiunga che ulteriore circostanza meritevole di essere considerata nella valutazione della corretta condotta da assumere è che, in caso di esito negativo del contenzioso con il locatore in merito al diritto di sospensione del pagamento dei canoni, il conduttore potrebbe trovarsi obbligato a corrispondere anche il risarcimento del danno da ritardo ex art. 1218 c.c.

Nella fattispecie in esame il conduttore potrebbe, inoltre, chiedere la risoluzione del contratto, senza bisogno di preavviso e con obbligo di rilasciare l’immobile in favore del locatore, deducendo un’ipotesi di “impossibilità sopravvenuta”, che peraltro allo stato dovrebbe qualificarsi come temporanea, ovvero di “eccessiva onerosità sopravvenuta”.

Ma anche su tali fattispecie occorre fare chiarezza al fine di sgombrare il campo da letture fuorvianti e semplicistiche.

Per quanto attiene l’ipotesi risolutiva, disciplinata dall’art. 1256 c.c., non si tratterebbe in ogni caso di recesso unilaterale da parte del conduttore, bensì, più propriamente, di una risoluzione contrattuale che, se contestata dal locatore, dovrebbe successivamente essere accertata e dichiarata in sede giudiziale.

In particolare, l’art. 1256 c.c. dispone che “la obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento. Tuttavia l'obbligazione si estingue se l'impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell'obbligazione o alla natura dell'oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.

In tale ottica, è bene evidenziare come la dimostrazione dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa a sé non imputabile – anche alla luce dell’emergenza sanitaria venutasi a creare – potrebbe rivelarsi particolarmente complessa in giudizio. 

Da un lato, la causa del contratto di locazione (godimento del bene) e la stessa prestazione del locatore (messa a disposizione dell’immobile) non potrebbero dirsi venute meno in conseguenza dell’evento pandemico, posto che anche in tale ipotesi potrebbe ritenersi che il conduttore abbia continuato comunque a godere dell’immobile (anche a solo titolo di deposito). La circostanza che i locali siano rimasti occupati dai beni strumentali, dalle attrezzature e dalle merci del conduttore potrebbe portare a ritenere la pretesa di non pagare il canone nella sua totalità come infondata. 

Ciò, ancor più, se si considera che i) il conduttore – come si è detto sopra – aveva comunque facoltà di accedere all’agevolazione fiscale nella misura del 60% del canone versato e dunque con un rientro considerevole rispetto all’importo corrisposto e che ii) l’attuale inutilizzabilità dei locali, dovuta ai divieti ed alle restrizione imposte con i provvedimenti amministrativi, se non è imputabile al conduttore, tantomeno potrebbe ritenersi imputabile al locatore, la cui prestazione principale (messa a disposizione dei locali in condizioni idonee all’uso contrattualmente pattuito) rimarrebbe appunto regolarmente adempiuta dal locatore medesimo.

Dall’altro lato, sempre in punto di impossibilità sopravvenuta della prestazione, questa potrebbe al più configurarsi quale mera difficoltà a pagare il canone in ragione della situazione emergenziale determinante l’inoperatività temporanea dell’azienda, ma non certo una impossibilità totale ed assoluta. 

Ad avviso dello scrivente, la valutazione dell’effettiva impossibilità della prestazione, in sede giudiziale, non potrebbe non tener conto in sede giudiziale:

- sia del profilo quantitativo della prestazione rimasta inadempiuta che andrebbe parametrato al netto della misura fiscale accessibile da parte del conduttore e dunque per una misura non superiore al 40% del canone dovuto, con conseguente possibilità che possa essere ritenuto insussistente il carattere assoluto dell’impossibilità della prestazione;

- sia anche del dato temporale in quanto, benché imprevista e dipendente da fattori esterni, al momento trattasi di una sospensione dell’attività commerciale non fissata sine die ma riguardante un periodo di tempo limitato, con la duplice conseguenza che tale fattispecie possa essere inquadrata nell’ipotesi di impossibilità temporanea di cui al comma 2 dell’art. 1256 c.c. e che tale condizione possa essere invocata unicamente per giustificare il ritardo nell’adempimento e, dunque, il differimento del termine di pagamento del canone, ma non il totale venir meno dell’obbligazione.

Lo stesso e già citato art. 91 D.L. 18/2020 non sembrerebbe fornire argomenti decisivi a favore dell’impossibilità della prestazione, in quanto tale norma non introduce alcun automatico effetto liberatorio nel pagamento ma, rimettendo al giudice ogni relativa valutazione, varrebbe unicamente ad agevolare la prova della non imputabilità dell’evento – ovvero la crisi sanitaria in atti – al debitore e dunque ad elidere la responsabilità di quest’ultimo soltanto rispetto alla mora 

Altra ipotesi che in astratto potrebbe essere considerata dal conduttore risulterebbe quella di perseguire la strada delle risoluzione del contratto di locazione per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. a mente della quale “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa – nel caso di specie, dunque, la corresponsione dei canoni di locazione – per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili – ovverosia il proliferarsi del noto Covid 19, il quale ha comportato la momentanea chiusura delle attività commerciali – la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto […]”. 

Anche in tal caso permarrebbe, tuttavia, la problematica per il conduttore di dimostrare il collegamento causale tra la temporanea chiusura dell’attività e l’impossibilità di adempiere in via assoluta al pagamento del canone, nonché dell’eccessiva onerosità sopravvenuta dell’affitto originariamente pattuito.

Peraltro, a parere di chi scrive, la valutazione dell’effettivo sopravvenire dell’eccessiva onerosità del contratto dovrebbe effettuarsi anche considerando l’elemento costituito dalla possibilità per il conduttore di accedere al credito di imposta sopra descritto.

Il che varrebbe a circoscrivere la ricorribilità a tale istituto e gli stessi esiti di suo favorevole accoglimento all’ipotesi ben più circoscritta in cui il conduttore sia in grado di provare e documentare che l’attuale emergenza determinata dalla diffusione del virus abbia determinato uno squilibrio contrattuale ed un crollo dell’attività a tal punto significativi da non consentire all’affittuario di sostenere nemmeno il pagamento del 40% del canone (al netto del beneficio fiscale di cui lo stesso avrebbe per legge potuto usufruire).

Un’ultima tutela a cui il conduttore potrebbe far ricorso per interrompere il rapporto contrattuale è il recesso per gravi motivi disciplinato, quanto alle locazioni di immobili per uso diverso da quello abitativo, dall’art. 27, ultimo comma, della Legge 27 luglio 1978 n. 392 secondo cui “indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto, con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

La giurisprudenza, in particolare, ritiene che la valutazione della “gravità” dei motivi addotti dal conduttore, che intende esercitare il diritto di recesso, non possa essere soggettiva e arbitraria. Per potersi avere un legittimo esercizio del diritto di recesso, in altri termini, le ragioni del conduttore devono sostanziarsi in fatti non dipendenti dal conduttore stesso, imprevedibili e sopravvenuti nel corso del rapporto di locazione.

Ora, se da un lato l’attuale situazione emergenza integrerebbe circostanza certamente indipendenti dalla volontà del conduttore e comunque non prevedibili dallo stesso, dall’altro resterebbe pur sempre la necessità per il conduttore stesso di fornire la prova – per il caso di contestazione del locatore – che tale evento sia stato tale da rendere oltremodo gravosa, sotto il profilo economico, la prosecuzione del rapporto locativo. E sotto tale profilo verrebbero in rilievo i medesimi dubbi e rischi che sono stati sino ad ora esposti in merito agli altri rimedi civilisti affrontati. 

Peraltro, indipendentemente da tali aspetti, occorre sottolineare che dall’eventuale recesso anticipato per gravi motivi ai sensi della legge speciale sulle locazioni discenderebbe comunque l’obbligo di pagamento del canone per l’ulteriore corso del periodo di preavviso e di successiva riconsegna dei locali al termine dello stesso.

Traendo quindi le conclusioni da quanto esposto, ad avviso dello scrivente, parlare in via generale di sospensione unilaterale delle scadenze contrattuali ovvero di riduzione arbitraria dei canoni dovuti, ovvero ancora di impossibilità automatica e tout court ad adempiere, potrebbero esporre il conduttore al rischio di possibili contestazioni ed azioni giudiziali da parte del locatore. 

È, infatti, doveroso evidenziare che il locatore – una volta superata l’attuale situazione di crisi sanitaria ed in assenza del pagamento neppure in parte dei canoni rimasti insoluti – potrebbe  agire per il recupero delle somme capitali rimaste insolute in tale periodo, anche mediante l’avvio di un’azione di sfratto per morosità, pur con la precisazione che l’esecuzione dell’eventuale provvedimento di convalida o rilascio che dovesse essere così ottenuto potrebbe avere seguito soltanto in data successiva al 30.06.2020 stante gli artt. 2 e 103 del citato Decreto “Cura Italia” che vietano di eseguire i provvedimenti esecutivi di rilascio fino alla predetta data del 30.06.2020.

È auspicabile, quindi, che il riequilibrio del rapporto locativo e delle rispettive posizioni contrattuali derivi non da imposizioni, ovvero da pretese unilaterali, della parte conduttrice ed ancor meno da soluzioni standardizzate e generalizzate ma che lo stesso segua ad una valutazione effettuata sulla base delle peculiarità del singolo caso concreto ed alla luce dei canoni generali di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.).

In tale prospettiva, una soluzione di buon senso parrebbe quella di addivenire ad accordi tra le parti che tengano conto sia delle reciproche esigenze, pur con la precisazione che, laddove la strada dell’accordo non si rivelasse percorribile, il conduttore sarebbe comunque tenuto a corrispondere il canone dovuto nella sua interezza e, successivamente, ricorrere all’Autorità Giudiziaria affinché determini la misura della pretesa riduzione del canone. Valutazione, quest’ultima, che verrebbe dunque necessariamente demandata al Giudice e da questi operata tenuto conto delle opposte esigenze di entrambi le parti contrattuali.

Avv. Daniele Cella

Avv. Vincenzo Lembo