Emergenza Covid-19 - “DECRETO LIQUIDITA’”: UNA DELEGA TROPPO AMPIA A BANCHE E SINDACATI?
In data 08.04.2020 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge 8 aprile 2020, n. 23 recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e di lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”.
Come noto, il citato Decreto Legge (di seguito anche “Decreto Liquidità”) ha lo scopo di consentire alle imprese italiane di accedere al credito bancario per ripristinare la propria liquidità alla luce – si legge nelle premesse – della “…straordinaria necessità e urgenza di contenere gli effetti negativi che l’emergenza epidemiologica covid -19 sta producendo sul tessuto economico nazionale…” ed in tale ottica prevede prestiti agevolati alle aziende coperti da garanzie esterne che vengono concesse attraverso due canali e, precisamente, dal Fondo di Garanzia delle PMI (per le aziende più piccole, fino a 499 dipendenti) e da SACE, società facente parte del gruppo Cassa Depositi e Prestiti, per le società più grandi.
Nella giornata del 09.04 scorso l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) ha emanato una circolare con cui sono state illustrate le disposizioni del provvedimento emesso dall’esecutivo, al fine di agevolarne l’immediata attuazione presso il sistema bancario e l’inizio delle istruttorie in favore delle imprese che intenderanno attivare tali finanziamenti e richiedere la garanzia pubblica.
Da una attenta lettura del decreto emesso dal Governo e delle contestuali note illustrative diramate dall’ABI emerge un quadro complessivo in cui si evidenziano una serie di aspetti critici in ordine su cui appare opportuno soffermarsi.
Di seguito, rimettiamo pertanto una breve panoramica delle principali caratteristiche delle “Garanzie SACE” e delle “Garanzie Fondo Centrale PMI” a sostegno della liquidità delle imprese.
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- La “Garanzia SACE” (art. 1 del D.L. 8 aprile 2020, n. 23).
Anzitutto, per ciò che riguarda le misure di accesso al credito “al fine di assicurare la necessaria liquidità alle imprese”, si prevede la concessione da parte di SACE di garanzie“…in favore di banche, istituzioni finanziarie nazionali e internazionali e altri soggetti abilitati all’esercizio del credito in Italia” per nuovi finanziamenti “sotto qualsiasi forma”, erogati entro il 31 dicembre 2020, di durata non superiore a 6 anni e con preammortamento fino a 24 mesi (art. 1, comma 2, lett. a).
Trattasi di una garanzia:
- a prima richiesta, esplicita, incondizionata ed irrevocabile (art. 1, comma 2, lett. f);
- la quale copre capitale, interessi ed oneri accessori fino all’importo massimo garantito dal finanziamento (art. 1, comma 2, lett. g);
- e che opera in concorso paritetico e proporzionale tra garante e garantito nelle perdite per mancato rimborso del prestito (art. 1, comma 2, lett. d).
In particolare, avuto riguardo all’importo massimo dei finanziamenti assistiti dalla predetta garanzia SACE, nel provvedimento governativo all’art. 1, comma 2, comma 2, lett. c) viene stabilito che lo stesso non può essere superiore al maggiore tra i seguenti valori:
- 25% del fatturato 2019, come risultante dal bilancio approvato ovvero dalla dichiarazione fiscale;
- al doppio dei costi del personale dell’impresa relativi al 2019, come risultanti dal bilancio ovvero dai dati certificati se l’impresa non ha ancora approvato il bilancio e, qualora l’impresa abbia iniziato la propria attività successivamente al 31 dicembre 2018, in base ai costi del personale attesi per i primi due anni di attività.
Giova precisare che, ai fini dell’individuazione del limite di importo garantito indicato dal suddetto comma 2, lettera c), si fa riferimento “al valore del fatturato in Italia e dei costi del personale sostenuti in Italia da parte dell’impresa ovvero su base consolidata qualora l’impresa appartenga ad un gruppo”. L’impresa richiedente è tenuta a comunicare alla banca finanziatrice tale valore. Ai fini della verifica del suddetto limite “qualora la medesima impresa sia beneficiaria di più finanziamenti assistiti dalla garanzia SACE o da altra garanzia pubblica, gli importi di detti finanziamenti si cumulano” e “qualora la medesima impresa o il medesimo gruppo quando l’impresa stessa è parte di un gruppo, siano beneficiari di più finanziamenti assistiti dalla garanzia SACE, gli importi di detti finanziamenti si cumulano” (art. 3 D.L. n. 23/2020).
In ordine alle percentuali di copertura, il “Decreto Liquidità” prevede poi (art. 1, comma 2, lett. d) che la garanzia SACE copre:
- il 90% dell’importo del finanziamento per imprese con meno di 5.000 dipendenti in Italia e valore del fatturato fino a 1,5 miliardi di euro;
- l’80% dell’importo del finanziamento per imprese con valore del fatturato tra 1,5 miliardi e 5 miliardi di euro o con più di 5000 dipendenti in Italia;
- il 70% per le imprese con valore del fatturato superiore a 5 miliardi.
Come precisato anche dall’ABI, vengono previsti precisi vincoli di destinazione dei finanziamenti coperti dalla suddetta garanzia SACE, in quanto gli stessi devono essere impiegati esclusivamente per sostenere (art. 1, comma 2, lett. n):
- costi del personale;
- investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi;
- attività imprenditoriali che siano localizzati in Italia, sulla base di quanto documentato e attestato dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria.
Così ricostruiti i presupposti oggettivi di accesso alla garanzia SACE, un tema di particolare interesse attiene poi all’individuazione dei soggetti beneficiari, in quanto la predetta garanzia pubblica non viene estesa indistintamente a tutte le imprese indipendentemente dalle loro effettive difficoltà.
Il provvedimento in esame delimita, infatti, la platea dei soggetti beneficiari delle garanzie della SACE (ovvero Cassa Depositi e Prestiti), restringendola alle “…imprese di qualsiasi dimensione…” che abbiano “…esaurito il plafond massimo disponibile per ottenere coperture da parte del Fondo di garanzia per le PMI” e che (art. 1, comma 2, lett. b):
- alla data del 31 dicembre 2019, non deve essere classificata nella categoria delle imprese in difficoltà, secondo la definizione comunitaria;
- alla data del 29 febbraio 2020, non deve avere nei confronti del settore bancario esposizioni deteriorate, secondo la definizione della normativa europea”.
Per comprendere appieno la portata di tali misure e la loro effettiva accessibilità da parte delle imprese, occorre a questo punto interrogarsi su quale siano le nozioni, in ambito comunitario, di “imprese in difficoltà” ed “esposizioni deteriorate” verso il sistema bancario.
Ebbene, quanto alla definizione comunitaria di “impresa in difficoltà”, deve farsi riferimento all’art. 1, paragrafo 7, del Regolamento (CE) n. 800/2008 secondo il quale “[…] per impresa in difficoltà si intende una PMI che soddisfa le seguenti condizioni:
a) qualora, se si tratta di una società a responsabilità illimitata, abbia perduto più della metà del capitale sottoscritto e la perdita di più di un quarto di detto capitale sia intervenuta nel corso degli ultimi dodici mesi, oppure
b) qualora, se si tratta di una società in cui almeno alcuni soci abbiano la responsabilità illimitata per i debiti della società, abbia perduto più della metà del capitale, come indicato nei conti della società, e la perdita di più di un quarto di detto capitale sia intervenuta nel corso degli ultimi dodici mesi, oppure
c) indipendentemente dal tipo di società, qualora ricorrano le condizioni previste dal diritto nazionale per l'apertura nei loro confronti di una procedura concorsuale per insolvenza.
Una PMI costituitasi da meno di tre anni non è considerata un’impresa in difficoltà per il periodo interessato, a meno che essa non soddisfi le condizioni previste alla lettera c) del primo comma”.
Sul punto giova richiamare anche quanto a suo tempo affermato mediante Comunicazione dellaCommissione 2004/C 244/02 in riferimento agli “Orientamenti comunitari sugli Aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà”, nella quale si precisa al punto 11 che “un'impresa può comunque essere considerata in difficoltà in particolare quando siano presenti i sintomi caratteristici di un'impresa in difficoltà, quali il livello crescente delle perdite, la diminuzione del fatturato, l'aumento delle scorte, la sovracapacità, la diminuzione del flusso di cassa, l'aumento dell'indebitamento e degli oneri per interessi, nonché la riduzione o l'azzeramento del valore netto delle attività. Nei casi più gravi l'impresa potrebbe già essere insolvente o essere oggetto di procedura concorsuale per insolvenza conformemente al diritto nazionale. In quest'ultimo caso i presenti orientamenti si applicano agli aiuti eventualmente concessi nel quadro di detta procedura allo scopo di garantire la continuità dell'impresa. In ogni caso un'impresa in difficoltà può beneficiare di aiuti solo previa verifica della sua incapacità di riprendersi con le proprie forze o con i finanziamenti ottenuti dai suoi proprietari/azionisti o da altre fonti sul mercato”.
Pertanto, secondo le definizioni comunitarie un’impresa può essere definita “in difficoltà” quando non è in grado, mediante risorse proprie o risorse ottenibili da proprietari/azionisti o creditori, di contenere perdite che, in assenza di un intervento esterno delle Autorità pubbliche, la condurrebbero quasi certamente al collasso economico, nel breve o nel medio periodo.
Per quanto attiene la definizione comunitaria di “esposizioni deteriorate”, la stessa è attualmente disciplinata dalle disposizioni introdotte a livello comunitario dall’European Bank Autority (EBA) con il Regolamento UE 2013/575 del 26 giugno 2013 (c.d. Capital Requirements Regulation o CRR), così come modificato ed aggiornato dal Regolamento (UE) 2019/630 del 17 aprile 2019.
In particolar modo, l’art. 47 bis del Regolamento UE 2013/575 (introdotto mediante il Regolamento UE 2019/630 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019), rubricato “Esposizioni deteriorate” prevede che “rientrano tra le «esposizioni» i seguenti elementi, purché non inclusi nel portafoglio di negoziazione dell'ente:
a) gli strumenti di debito, inclusi i titoli di debito, i prestiti, gli anticipi e i depositi a vista;
b) gli impegni all'erogazione di prestiti dati, le garanzie finanziarie assunte o qualsiasi altro impegno dato, sia esso revocabile o irrevocabile, con l'eccezione delle aperture di credito non utilizzate che possono essere revocate incondizionatamente in qualsiasi momento senza preavviso o provviste di clausola di revoca automatica per deterioramento del merito di credito del debitore”.
Inoltre, ai sensi del comma 3 della predetta norma “[…] le seguenti esposizioni sono classificate come esposizioni deteriorate:
a) le esposizioni in relazione alle quali si ritiene che sia intervenuto un default ai sensi dell'articolo 178;
b) le esposizioni che si ritiene abbiano subito una riduzione di valore ai sensi della disciplina contabile applicabile;
c) le esposizioni in prova ai sensi del paragrafo 7, qualora siano state accordate misure di concessione aggiuntive o qualora le esposizioni siano scadute da oltre 30 giorni;
d) le esposizioni in forma di impegno che, qualora utilizzato o altrimenti attivato, non verrebbe probabilmente rimborsato in modo integrale senza escussione delle garanzie reali;
e) le esposizioni sotto forma di garanzia finanziaria che sarebbe probabilmente attivata dalla parte garantita, compresi i casi in cui l'esposizione garantita sottostante soddisfa i criteri per essere considerata deteriorata.
Ai fini della lettera a), nei casi in cui l'ente abbia in bilancio esposizioni verso un debitore scadute da oltre 90 giorni le quali rappresentano più del 20 % del totale delle esposizioni in bilancio verso il medesimo debitore, tutte le esposizioni in bilancio e fuori bilancio verso detto debitore sono considerate deteriorate”.
L’art. 178 del predetto Regolamento UE n. 575/2013 si occupa di individuare i requisiti attraverso cui poter classificare un debitore come “in stato di default” e procedere alla conseguente stima del rischio associato alla sua posizione. Secondo la predetta normativa un debitore è considerato in stato di default quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni nel pagamento di un’obbligazione rilevante verso l’ente(per determinare se l’obbligazione è rilevante si fa riferimento al complesso delle obbligazioni del medesimo debitore verso l’ente);
b) la Banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni creditizie verso l’ente.
La definizione EBA, recepita normativamente con il successivo Regolamento di esecuzione UE n. 2014/680 della Commissione Europea (con cui sono state introdotte le norme tecniche di attuazione per quanto riguarda le segnalazioni degli enti ai fini di vigilanza conformemente al già citato regolamento 575/2013) ed entrata in vigore a partire dalle segnalazioni riferite al 30 settembre 2014, è molto simile a quella stabilita dal sopracitato art. 178 del Regolamento CRR.
Infatti, un’esposizione rientra nella categoria non performing qualora le obbligazioni di pagamento siano scadute da oltre 90 giorni (criterio del past due) oppure l’intermediario, compiendo una valutazione sulle capacità di rimborso del debitore che prescinde dalla presenza di scadenze e/o insoluti, reputi necessaria l’escussione delle garanzie (criterio dell’unlikely to pay). In presenza di uno dei due criteri l’esposizione viene qualificata e segnalata all’Autorità di vigilanza come non performing.
Le definizioni comunitarie parrebbero porre evidenti limiti al ricorso da parte delle imprese alle misure stanziate dal Governo, derivando da qui il rischio che le stesse possano favorire quella parte del settore produttivo ritenuta maggiormente affidabile secondo una valutazione di merito creditizio eseguita dalla Banca.
Tale rischio risulta ancor più concreto se si considera da una parte il rinvio che – ai fini della qualificazione di “impresa in difficoltà” – la normativa comunitaria opera al concetto di insolvenza, così come enucleato dalla normativa interna ed elaborato dalla giurisprudenza del singolo Paese in materia di accesso alle procedure concorsuali, e dall’altra il potere (certamente ampio) di valutazione riconosciuto in capo agli Istituti bancari in relazione alla sussistenza o meno della capacità dell’impresa di adempiere con mezzi normali alle proprie obbligazioni.
È evidente come ciò potrebbe determinare rilevanti problematiche da parte del sistema bancario nella gestione delle condizioni di accesso alle misure stanziate e, conseguentemente, potrebbe comportare in capo a quelle imprese che hanno già contratto ingenti debiti nei confronti delle banche per portare avanti la propria attività e che, ad oggi, hanno visto aggravare la propria condizione economica per effetto di eventi (l’emergenza sanitaria in atto) a sé non imputabili, la probabilità di vedersi negare – sulla scorta di scelte discrezionali e non ricollegate a parametri certi – l’accesso alle garanzie dello Stato.
Valga anche considerare che a seguito della crisi del 2008 le Banche, legittimamente, decisero anche verso quali settori produttivi (all’epoca in primis Edilizia ed Automotive) operare una politica di sensibile riduzione delle esposizioni più importanti.
Come si muoveranno quindi oggi gli Istituti di credito di fronte ad una crisi senza precedenti che offre scenari futuri del tutti incerti?
Incognita, questa, che appare quantomeno rilevante tanto più se si considera che il “Decreto Liquidità”:
- non prevedendo la concessione della garanzia SACE a copertura del 100% del fondo garantito, mantiene un margine di rischio a carico della Banca, con la conseguenza che quest’ultima sarà indotta ad operare una valutazione estremamente selettiva delle imprese aventi diritto;
- fa espresso riferimento alle definizioni comunitarie in ordine all’identificazione del rating delle imprese;
- non introduce norme in deroga rispetto alla normativa generale prevista dal Testo Unico Bancario in ordine all’istruttoria ordinaria da svolgersi per le richieste di liquidità.
A quanto detto si aggiunga anche che, fra le altre condizioni di accesso alla garanzia SACE, il Decreto Liquidità pone peraltro l’assunzione di specifici impegni a carico dell’impresa richiedente.
In particolare, viene previsto che l’impresa beneficiaria della garanzia debba assumere l’impegno:
- “per sé e per ogni altra impresa che faccia parte del medesimo gruppo a cui essa appartiene, di non approvare la distribuzione di dividendi o il riacquisto di azioni nel 2020” (art. 1, comma 2, lett. i);
- “di gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali.” (art. 1, comma 2, lett. l).
In particolare, in ordine a tale ultimo punto si pone la necessità di comprendere come la Banca erogante – cui è rimessa in ogni caso la decisione se erogare o meno il credito – possa (o debba) verificare il percorso di consultazione sindacale attivato dall’impresa, sia che ciò avvenga prima della richiesta che, come probabile in epoca successiva (la lettera del Decreto fa riferimento ad un generico “impegno” vincolante).
La tematica è senza dubbio rilevante:
- sia con riferimento agli accordi, posto che la norma così come genericamente formulata pare concedere un vero e proprio diritto di veto in capo al sindacato sull’accesso al credito da parte dell’impresa;
- sia in merito all’ambito di estensione di tali accordi, atteso che dalla generica formulazione della norma deriva l’esigenza di stabilire se l’obbligo in capo all’impresa di successivo confronto con i sindacati verta solo in caso di licenziamenti – che peraltro nella odierna fase emergenziale parrebbero inibiti - ovvero anche per eventuali future (posto che i finanziamenti durerebbero fino a 8 anni compreso il preammortamento iniziale) ristrutturazioni e riorganizzazioni che si rendessero necessarie in conseguenza delle mutate condizione imposte dalla crisi sanitaria in atto e dal conseguente blocco delle attività produttive;
- sia, ancora, in ordine alla tempistica entro cui giungere alla conclusione degli accordi stessi tenuto conto dei vincoli della libertà di movimento imposti nell’attuale fase emergenziale e ad oggi prorogati, come noto, al prossimo 3 maggio.
Si auspica quindi che, anche sotto questo profilo, possano essere introdotti criteri e parametri certi, dovendosi ricordare che il Governo all’art 1, comma 10, del Decreto Legge 23/2020 ha previsto una norma in bianco per riservarsi la possibilità di disciplinare ulteriormente le modalità operative ai fini dell’attuazione di quanto previsto dal provvedimento.
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- La “Garanzia del Fondo Centrale PMI” (art. 13 del DL 8 aprile 2020, n. 23).
Il “Decreto Liquidità” prevede, quale ulteriore forma di sostegno alle imprese, il rilascio, per tutto il 2020, di una garanzia concessa a titolo gratuito tramite il Fondo Centrale di Garanzia per le imprese con un numero di dipendenti fino a 499 unità.
In particolare, il Fondo Centrale per le piccole e medie imprese potrà garantire nuovi finanziamenti ottenuti dalle piccole e medie imprese e dalle persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni, la cui attività d’impresa è stata danneggiata dall’emergenza Covid-19 (come risultante da autodichiarazione), che abbiano le seguenti caratteristiche:
- una durata fino a 72 mesi;
- l’inizio del rimborso del capitale avvenga non prima di 24 mesi dall’erogazione;
- un importo non superiore al 25% dell’ammontare dei ricavi del soggetto beneficiario o abbiano, comunque, un importo non superiore a 25.000 euro;
- prestiti fino a 800 mila euro concessi a imprese che abbiano ricavi inferiori a 3,2 milioni, danneggiate dall’emergenza COVID-19 come risultante da autodichiarazione;
- prestiti fino a 5 milioni di euro.
La concessione della garanzia del Fondo per le PMI viene prevista sino ad un massimo garantito di 5 milioni di Euro per singola impresa ed a copertura:
- del 100% per i finanziamenti fino a 25.000,00 euro, previa autorizzazione della Commissione Europea ai sensi dell’art. 108 del TFUE1;
- del 90%, dell’ammontare di ciascuna operazione finanziaria, previa autorizzazione della Commissione Europea ai sensi del citato art. 108 del TFUE, per le operazioni finanziarie sino a 72 mesi. Copertura, questa, che potrà arrivare al 100% con la controgaranzia di Confidi per i finanziamenti sino a 800 mila euro concessi a imprese che abbiano ricavi inferiori a 3,2 milioni;
- del 90% per i finanziamenti sino a 5 milioni di euro.
In ordine all’individuazione delle realtà imprenditoriali a cui è stata estesa la facoltà di accesso al Fondo Centrale di Garanzia per le PMI, si pongono poi le medesime criticità già sopra esposte.
In primo luogo, il provvedimento governativo prevede che la garanzia del Fondo per le PMI sia concessa anche in favore di beneficiari finali che presentino – alla data della richiesta – esposizioni nei confronti del soggetto finanziatore classificate come “inadempienze probabili” o “esposizioni scadute o sconfinanti deteriorate”, secondo le definizioni adottate dalla Banca d’Italia ai sensi del paragrafo 2, parte B della Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 e successive modificazioni e integrazioni, e purché la predetta classificazione non sia precedente alla data del 31 gennaio 2020 (art. 13, comma 2, lett. g).
Nel Decreto Legge 23/2020 si stabilisce poi che la garanzia è concessa anche alle imprese che, in data successiva al 31 dicembre 2019, sono state ammesse alla procedura del concordato con continuità aziendale di cui all'articolo 186 bis L.F., hanno stipulato accordi di ristrutturazione ai sensi dell'articolo 182 bis L.F. o hanno presentato un piano attestato ex articolo 67 L.F., purché, alla data di entrata in vigore del predetto decreto legge (ossia 09.04.2020), le loro esposizioni (art. 13, comma 2, lett. g):
a) non siano più in una situazione che ne determinerebbe la classificazione come esposizioni deteriorate;
b) non presentino importi in arretrato successivi all’applicazione delle misure di concessione e la banca, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, possa ragionevolmente presumere che vi sarà il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza, ai sensi dell’art 47 bis, comma 6, lettere a) e c) del Regolamento 575/2013, secondo il quale:
“6. Le esposizioni deteriorate oggetto di misure di concessione cessano di essere classificate come esposizioni deteriorate ai sensi dell'articolo 36, paragrafo 1, lettera m), se sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
a) le esposizioni non sono più in una situazione che ne determinerebbe la classificazione come esposizioni deteriorate ai sensi del paragrafo 3; […]
c) dopo l'applicazione delle misure di concessione non vi sono importi in arretrato e l'ente, sulla base dell'analisi della situazione finanziaria del debitore, è convinto che verosimilmente vi sarà il rimborso integrale dell'esposizione alla scadenza”.
Il testo normativo precisa poi che restano in ogni caso escluse le imprese che presentano esposizioni classificate come “sofferenze” ai sensi della disciplina bancaria.
A tal riguardo occorre precisare che nell’ordinamento italiano la Circolare della Banca d’Italia n. 272 del 30 luglio 2008, nel recepire con l’aggiornamento n. 7 del 20.01.2015 le definizioni elaborate dall’EBA, ha classificato e ripartito le esposizioni creditizie deteriorate nei seguenti termini:
- sofferenze: esposizioni verso soggetti in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili;
- inadempienze probabili: esposizioni (diverse da quelle classificate tra le sofferenze) per le quali la banca valuta improbabile, senza il ricorso ad azioni quali l'escussione delle garanzie, che il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni contrattuali;
- esposizioni scadute e/o sconfinate: esposizioni (diverse da quelle classificate tra le sofferenze o le inadempienze probabili) che sono scadute o eccedono i limiti di affidamento da oltre 90 giorni e oltre una predefinita soglia di rilevanza.
Detto questo, le classificazioni sopra delineate su cui sono incentrati presupposti soggettivi di accesso alle garanzie del Fondo pubblico paiono anche in tal caso a confermare la centralità che viene riconosciuta alla valutazione del merito creditizio nella determinazione dei soggetti beneficiari di tali misure.
Valga considerare che il sistema bancario non soltanto è chiamato a classificare la natura dell’esposizione ma ha anche il compito di valutare la situazione economica e finanziaria della singola impresa richiedente anche in ottica prognostica al punto di doverne delineare e “ragionevolmente presumere” le sue concrete prospettive ed il suo potenziale andamento nel lungo periodo.
Tuttavia, il testo del decreto e le stesse precisazioni fornite dall’ABI non contengono indicazioni circa i parametri di cui la Banca dovrebbe tener conto nelle stime di natura economica e finanziaria da effettuare a carico delle aziende richiedenti e l’orizzonte temporale che tale valutazione dovrebbe considerare.
Tale elemento – a giudizio di chi scrive – potrebbe contribuire a rendere l’istruttoria demandata alle Banche molto complessa ed a favorire il ricorso a criteri di valutazione eccessivamente prudenziali per ciò che attiene le previsioni di capacità economica del soggetto richiedente, specie se facente parte di un settore economico/industriale particolarmente colpito dalla crisi.
Tutto ciò, con il rischio – ancora una volta – di vedere fortemente ridotto e limitato l’ambito delle imprese a cui saranno riconosciute tali linee di credito, con gravi ricadute sul sistema Paese.
Milano, 14 aprile 2020
Avv. G.M. Tavella
Avv. Vincenzo Lembo
Dott.ssa Myriam Dipierro
1 Art. 108 TFUE:
“1. La Commissione procede con gli Stati membri all'esame permanente dei regimi di aiuti esistenti in questi Stati. Essa propone a questi ultimi le opportune misure richieste dal graduale sviluppo o dal funzionamento del mercato interno. 2. Qualora la Commissione, dopo aver intimato agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati che un aiuto concesso da uno Stato, o mediante fondi statali, non è compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, oppure che tale aiuto è attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale decisione entro il termine stabilito, la Commissione o qualsiasi altro Stato interessato può adire direttamente la Corte di giustizia dell'Unione europea, in deroga agli articoli 258 e 259. A richiesta di uno Stato membro, il Consiglio, deliberando all'unanimità, può decidere che un aiuto, istituito o da istituirsi da parte di questo Stato, deve considerarsi compatibile con il mercato interno, in deroga alle disposizioni dell'articolo 107 o ai regolamenti di cui all'articolo 109, quando circostanze eccezionali giustifichino tale decisione. Qualora la Commissione abbia iniziato, nei riguardi di tale aiuto, la procedura prevista dal presente paragrafo, primo comma, la richiesta dello Stato interessato rivolta al Consiglio avrà per effetto di sospendere tale procedura fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato al riguardo. Tuttavia, se il Consiglio non si è pronunciato entro tre mesi dalla data della richiesta, la Commissione delibera. 3. Alla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell'articolo 107, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale. 4. La Commissione può adottare regolamenti concernenti le categorie di aiuti di Stato per le quali il Consiglio ha stabilito, conformemente all'articolo 109, che possono essere dispensate dalla procedura di cui al paragrafo 3 del presente articolo.