COVID-19: LIMITAZIONI AL POTERE DATORIALE

COVID-19: LIMITAZIONI AL POTERE DATORIALE

Da alcune settimane ormai stiamo assistendo all’emanazione di una fitta ed incalzante decretazione governativa d’urgenza finalizzata alla prevenzione ed al contenimento dei rischi pandemici derivanti dal Covid-19.

Tali provvedimenti prevedono una serie di disposizioni particolarmente incidenti sulla normativa in vigore e sui molteplici istituti giuridici vigenti. 

Oggi ci occuperemo di analizzare il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 (recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19”), anche noto come “Decreto Cura Italia”, convertito in Legge 24 aprile 2020, n. 27 (pubblicata in G.U. 29 aprile 2020, n. 110), in particolar modo sotto il profilo giuslavoristico, ponendo particolare attenzione agli interessanti rilievi in materia di licenziamento introdotti mediante gli artt. 23, 46 e 47.

1. Le limitazioni poste al potere di licenziamento del datore di lavoro.

A tal proposito, in primo luogo, l’art. 46 del D.L. 18/2020, così come modificato dalla predetta Legge di conversione n. 27/2020, oggi rubricato “Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo oggettivo” prevede che “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto – ovverosia dal 17 marzo 2020 – l'avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto di appalto. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

A tal fine è bene precisare che, sensi dell’art. 3 della Legge da ultimo menzionata, n. 604/1966, si definisce “licenziamento per giustificato motivo oggettivo” il licenziamento determinato da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”, indipendentemente dunque dalla volontà del lavoratore.

Ebbene, l’art. 46 della oramai Legge n. 27/2020 prevede espressamente un periodo di sospensione dei licenziamenti e, in particolare, nel periodo intercorrente tra il 17 marzo 2020 ed il 16 maggio 2020: 

a) è precluso al datore di lavoro l’avvio di procedure di licenziamento collettivo quando:

- in caso di ammissione dell’impresa al trattamento straordinario di integrazione salariale, la stessa non sia in grado di garantire il pieno reimpiego di tutti i suoi dipendenti e non sia in grado in attivare misure alternative; 

- in caso di riduzione del personale dovuta della trasformazione dell’attività imprenditoriale;

b) sono sospese le procedure di licenziamento avviate in seguito al 23 febbraio 2020; 

c) al datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei propri dipendenti, è fatto espresso divieto di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

A dispetto di quanto erroneamente trasposto nella precedente versione della norma, dunque, l’odierna Legge di Conversione precisa che sono da ritenersi sospesi i procedimenti di licenziamento, mentre nulla dice con riguardo ai termini di impugnazione.

La nuova formulazione della norma, invero, si preoccupa di precisare che il divieto in questione non si applica qualora il personale interessato dal licenziamento sia impiegato nell’ambito di un appalto cessato e venga riassunto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, ovvero di clausola del contratto d’appalto medesimo.

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Con specifico riguardo ai licenziamenti di natura collettiva sub a) e sub b) la normativa di riferimento dispone, dunque, che non possano essere avviate le procedure previste dall’art. 4, 5 e 24 della Legge n. 233/1991 e che quelle medesime procedure avviate successivamente al 23 febbraio 2020 debbano intendersi sospese per legge. 

Il riferimento, come già anticipato sopra, attiene a quei casi specifici in cui l’imprenditore intenda procedere al licenziamento di almeno 5 dipendenti nell’arco temporale di 120 giorni quando, al termine di un periodo di integrazione salariale non sia in grado di garantire la piena ripresa dell’attività lavorativa, né tanto meno di ricorrere a misure alternative. 

In questi casi, in linea generale il datore di lavoro dovrebbe preventivamente darne comunicazione alle rappresentanze sindacali per poi dare luogo ad una determinata procedura dinnanzi l’Ufficio Provinciale del lavoro.

Ebbene, tali procedure – secondo quanto disposto dalla Legge n. 27/2020 – almeno sino al 16 maggio 2020 non potranno essere avviate.

Per quanto attiene l’ipotesi sospensiva individuata sopra sub b), potrebbe porsi un problema interpretativo in merito alla disciplina applicabile a tutte quelle procedure di licenziamento collettivo già avviate prima del 23.02.2020. 

Sotto tale profilo, infatti, dal tenore della norma e dalla ratio ivi sottesa sembrerebbe ragionevole poter ritenere inapplicabile qualsivoglia periodo di sospensione della procedura stessa. Ciò in quanto, le ragioni che avrebbero portato all’attivazione della procedura di licenziamento sarebbero da ritenersi del tutto avulse, e pertanto estranee, all’emergenza epidemiologica in corso. 

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Quanto al divieto di recesso per g.m.o. imposto tout court al datore di lavoro nel periodo intercorrente tra il 17 marzo 2020 ed il 16 maggio 2020 sub c), la norma sembrerebbe intendersi nel senso che al datore di lavoro è fatto espresso divieto:

- Sia di avviare nuove procedure di licenziamento individuale per g.m.o.;

- Sia di concludere le procedure di licenziamento individuale per g.m.o. pendenti alla data del 17 marzo 2020.

A tal riguardo – sebbene le ipotesi di nullità del licenziamento siano da considerarsi tassative ai sensi della L. 92/2012 – prevedendo l’impossibilità di “recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”, l’intenzione del legislatore sembrerebbe essere stata quella di introdurre, per il tramite di una norma di carattere imperativo, in combinato disposto con l’art. 1418 c.c., l’art. 1345 c.c. e l’art. 2, comma 2, D.lgs. 23/2015, una nuova e temporanea ipotesi di nullità del licenziamento, al pari di altre situazioni già attualmente previste.

Sotto tale profilo, il licenziamento intimato nel predetto periodo di sospensione rientrerebbe nelle ipotesi di “altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge” ex art. 18, comma 1, dello Statuto dei Lavoratori e, come tale, il lavoratore licenziato ben potrebbe beneficiare della massima tutela prevista, ossia quella della “reintegra piena” sul posto di lavoro, con annesso diritto – ai sensi dell’art. 18, comma 2 – al risarcimento del danno subito, stabilendo a tal fine un'indennità risarcitoria piena, commisurata sulla base dell'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione (dedotto, naturalmente, quanto percepito nel periodo di estromissione a fronte dello svolgimento di ulteriori attività lavorative). 

In sostituzione alla reintegra sul posto di lavoro, il lavoratore avrebbe inoltre la facoltà di richiedere al datore di lavoro un’indennità – nei termini di legge – determinata in base all’anzianità di servizio, la cui richiesta determinerebbe, tuttavia, la risoluzione del rapporto di lavoro.

2. Ulteriori limitazioni del potere datoriale.

Un’ulteriore ipotesi di limitazione alla facoltà di licenziamento da parte del datore di lavoro la si rinviene nell’art. 47, comma 2, D.L. 18/2020, così come modificato dalla Legge di conversione n. 27/2020, secondo cui “Fermo quanto previsto dagli articoli 23, 24 e 39 del presente decreto e fino alla data del 30 aprile 2020, l'assenza dal posto di lavoro da parte di uno dei genitori conviventi di una persona con disabilità non può costituire giusta causa di recesso dal contratto di lavoro ai sensi dell'articolo 2119 del codice civile, a condizione che sia preventivamente comunicata e motivata l’impossibilità di accudire la persona con disabilità a seguito della sospensione delle attività dei Centri di cui al comma 1”.

Tale norma introduce, dunque, un interessante diritto potestativo all’astensione dal luogo di lavoro. Va da sé che in tal caso, la limitazione alla facoltà di recesso per giusta causa è limitata al solo caso di contestazione dell’assenza per i motivi indicati dalla norma e non può dirsi, invero, estensibile anche agli altri comportamenti disciplinarmente rilevanti.

L’art. 23 L. 27/2020, inoltre, prevede la possibilità in capo al genitore di richiedere un permesso di 15 giorni per la cura dei figli minori di 12 anni, o con disabilità, durante il periodo di chiusura degli istituti scolastici, con il riconoscimento di un’indennità pari al 50% della retribuzione. 

D’altra parte, il comma 6 della medesima norma prevede che “Fermo restando quanto previsto nei commi da 1 a 5, i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con figli minori, di età compresa tra i 12 e i 16 anni, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia altro genitore non lavoratore hanno diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di sospensione dei servizi educativi per l'infanzia e delle attività didattiche nelle scuole di ogni ordine e grado, senza corresponsione di indennità ne' riconoscimento di contribuzione figurativa, con divieto di licenziamento e diritto alla conservazione del posto di lavoro”.

Quest’ultimo rappresenta un caso tipizzato di giustificata assenza dal luogo di lavoro a cui corrisponde, per l’effetto, il divieto di recesso da parte del datore di lavoro per detta specifica circostanza.

Il datore di lavoro, pertanto, ben potrebbe dirsi legittimato a licenziare un proprio dipendente laddove venisse a conoscenza di un fatto rilevante da un punto di vista disciplinare, integrante giusta causa di licenziamento, tuttavia laddove il licenziamento fosse “giustificato” dall’assenza del dipendente sul posto di lavoro per ragioni connesse ad una particolare situazione derivante dal Covid-19, quale quella poc’anzi menzionata, lo stesso sarebbe da ritenersi illegittimo.

3. Quanto ai licenziamenti non espressamente menzionati nel D.L. 18/2020 e dalla successiva Legge di Conversione n. 27/2020?

Sul punto sarebbero certamente state auspicabili in sede di conversione del D.L. alcune precisazioni normative – anche al fine di evitare eventuali contenziosi – circa l’inclusione o meno nel divieto di recesso di alcune forme di licenziamento. Tuttavia, in assenza, si rimettono alcune brevi riflessioni.

  • L’ipotesi del licenziamento del Dirigente.

Particolarmente interessante appare, in primo luogo, l’applicabilità o meno dell’art. 46 D.L. 18/2020, così come modificato dalla Legge 24 aprile 2020, n. 27, in caso di licenziamento del Dirigente. 

Anche in tal caso è bene fare una distinzione. Per quanto attiene i licenziamenti collettivi, nel periodo intercorrente tra il 17 marzo 2020 ed il 16 maggio 2020, si ritiene che i Dirigenti, al pari degli altri lavoratori, non possano essere coinvolti nelle predette procedure di licenziamento, sia sotto il profilo di divieto di avvio di nuovi procedimenti, sia anche in termini di sospensione delle procedure già intraprese. 

Per quanto riguarda, invece, l’ipotesi di licenziamento individuale del Dirigente, secondo una quanto più consolidata giurisprudenza sul tema, il divieto di recesso nei confronti di un Dirigente potrebbe configurarsi tenendo conto di due distinte ipotesi:

- Secondo una prima ipotesi, nei confronti dei c.d. “Dirigenti apicali” che, in quanto tali, non godono delle tutele contrattuali previste dalla L. 604/1966, si riterrebbe inapplicabile l’art. 46 L. 27/2020;

- Dall’altra parte, invero, secondo una seconda linea di pensiero si riterrebbe possibile l’applicazione della norma nei confronti dei c.d. “pseudo Dirigenti” (non apicali), in quanto anch’essi destinatari della tutela di cui alla L. 604/1966.

  • Il licenziamento per superamento del periodo di comporto.

Pur non essendo espressamente contemplata nell’art. 46 della Legge n. 27/2020 quale ulteriore ipotesi di divieto di licenziamento individuale per g.m.o., si ritiene che anche il licenziamento per superamento del periodo di comporto, conteggiato tenendo conto del periodo di malattia dovuta ad infezione da Coronavirus o quarantena, risulterebbe privo di efficacia, in quanto ai sensi dell’art. 26, comma 1, D.L. 18/2020 “Il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva di cui all'articolo 1, comma 2, lettere h) e i) del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, dai lavoratori del settore privato, è equiparato a malattia ai fini del trattamento economico previsto dalla normativa di riferimento e non è computabile ai fini del periodo di comporto”.

Pertanto, tale malattia è riconducibile, anche in virtù della peculiarità dell’emergenza, a cause che ne consentono l’esclusione dal conteggio del periodo di comporto.

  • Licenziamento in caso di periodo di prova o per inidoneità psico-fisica

Come già si è avuto modo di accennare, i licenziamenti di natura disciplinare possono senz’altro essere intimati e non ricadono in nessun modo nella sospensione di cui si è detto.

Per quanto riguarda, invece, a titolo esemplificativo, i licenziamenti dai periodi in prova o ancora i licenziamenti per intervenuta inidoneità psico-fisica, la prima delle due ipotesi sembrerebbe non rientrare nel periodo di sospensione. A tal riguardo, tuttavia permangono alcuni limiti al licenziamento, quali ad esempio la dimostrazione da parte del datore di lavoro di aver posto concretamente il lavoratore nelle condizioni di poter svolgere il periodo di prova.

Un’ultima breve riflessione merita, invece, il licenziamento per sopravvenuta inidoneità psico-fisica, il quale rientrando nella previsione di cui all’articolo 3, L. 604/1966, risulterebbe essere potenzialmente soggetto alla sospensione prevista dalla norma.


Avv. Daniele Cella

Dott.ssa Myriam Dipierro