NOMINA TESTAMENTARIA DEL TUTORE

NOMINA TESTAMENTARIA DEL TUTORE

Il Capo I del Titolo X del codice civile è interamente dedicato alla disciplina della tutela dei minori, istituto che interviene ogniqualvolta entrambi i genitori siano morti o per altre cause non possano esercitare la potestà dei genitori su figli minori.

Ai sensi del primo comma dell’art. 348 c.c. “il giudice tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la potestà dei genitori. La designazione può essere fatta per testamento, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.”

Nel presente commento prenderemo in esame il caso della designazione testamentaria del tutore e delle prospettabili conseguenze nella sua sfera personale, con un’indagine, in particolare, volta a verificare la sussistenza di una facoltà da parte del tutore prima designato e poi nominato di sottrarsi a tale ruolo.

Gli artt. 345 e 346 c.c. stabiliscono che il notaio che procede alla pubblicazione di un testamento contenente la designazione di un tutore o di un protutore, deve darne notizia al giudice tutelare entro dieci giorni. Il giudice tutelare, appena avuta notizia di tale fatto, procede alla nomina del tutore e del protutore (quest’ultimo ha funzione di rappresentare il minore in caso di conflitto di interessi con il tutore). Da tali disposizioni potrebbe quindi dedursi che dalla notizia della designazione per testamento del genitore deceduto derivi in automatico la nomina da parte del giudice tutelare della persona designata.

Tale rigida interpretazione è tuttavia subito attenuata dai successivi commi del menzionato art. 348 secondo i quali “…se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore, i quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti. Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore, deve anche sentire il minore che abbia raggiunto l’età di anni sedici. In ogni caso la scelta deve cadere supersona idonea all’ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di educare e istruire il minore conformemente a quanto è prescritto nell’art. 147 [Doveri verso i figli].

Il tutore viene quindi nominato dal giudice tutelare a seguito dell’assunzione di informazioni sul suo conto; le indicazioni fornite dal genitore nel testamento possono pertanto essere consapevolmente disattese da parte del giudice in caso di gravi motivi e di inidoneità all’ufficio del soggetto nominato. [1]

La dottrina si è lungamente interrogata su cosa potesse intendersi con la clausola generale “gravi motivi”, ritenendo pacificamente che il legislatore non abbia voluto intendere le già disciplinate ipotesi di dispensa e incapacità, che riprenderemo infra. La generalissima formula dei gravi motivi va quindi considerata in concreto dal giudice, non potendo prescindere dal criterio direttivo fornito dal quarto comma dell’art. 348, ossia che la scelta ricada su individuo “idoneo all’ufficio, di ineccepibile condotta e che dia affidamento di educare ed istruire il minore” così come prescrive l’articolo disciplinante i doveri verso i figli. Un esempio di grave motivo registrato più volte nella prassi è quello della lontananza del tutore e l’opportunità di non costringere il minore a dover trasferire la propria residenza. [2]

Inoltre, alla luce della ratio di preminente salvaguardia degli interessi del minore alla base dell’istituto della tutela, una delle motivazioni in grado di sconsigliare il rispetto della volontà del defunto genitore potrebbe essere rappresentata dall’assenza di “rapporti significativi” (ripreso dall’art 315 c.c.) tra il minore e la persona prescelta. Il giudice tutelare dovrà tener conto del possibile disagio psicologico che potrebbe derivare al minore nel caso dovesse instaurare rapporti sia esistenziali che patrimoniali con soggetti sostanzialmente estranei, ancorché a lui parenti. [3]

Colui che, dopo aver superato il vaglio da parte del giudice, viene nominato tutore non può sottrarsi alla nomina (salvo i casi di dispensa) e deve prestare giuramento di esercitare l’ufficio con fedeltà e diligenza.

Secondo più recente giurisprudenza, il rifiuto di assumere le funzioni di tutore o di protutore di un minorenne non costituisce più reato penale.[4] In precedenza, tuttavia, esso configurava la fattispecie di reato prevista dall’art. 388 c.p., considerandosi il rifiuto di prestare giuramento a norma dell’art. 349 c.c. a seguito della nomina come una “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice civile”.[5]

Come si è detto, il tutore nominato non può quindi autonomamente decidere di sottrarsi all’ufficio, salvo i casi di dispensa, tassativamente elencati dagli art. 351 e 352 c.c. [6]

L’art. 352 in particolare disciplina la dispensa su domanda, che va presentata dall’interessato al giudice prima della prestazione del giuramento, salvo la causa di dispensa sia sopravvenuta.

In ogni caso, sempre a causa della preminenza degli interessi del minore, il tutore è comunque tenuto ad assumere e a mantenere l’ufficio finché non sia stata nominata altra persona. Rientrano nei casi aventi diritto alla dispensa facoltativa:

-      i grandi ufficiali dello Stato non compresi nell’art. 351;

-      gli arcivescovi, i vescovi e i ministri del culto aventi cura d'anime;

-      i militari in attività di servizio;

-      chi ha compiuto gli anni sessantacinque;

-      chi ha più di tre figli minori;

-      chi esercita altra tutela;

-      chi è impedito di esercitare la tutela da infermità permanente;

-      chi ha missione dal Governo fuori dello Stato o risiede per ragioni di pubblico servizio fuori della circoscrizione del tribunale dove è costituita la tutela.

L’art. 350 c.c. invece, disciplinando le ipotesi di incapacità all’ufficio tutelare, prevede che non possano essere nominati tutori e, se nominati, debbano cessare dall’ufficio, tra gli altri, “coloro che sono stati esclusi dalla tutela per disposizione scritta dal genitore il quale per ultimo ha esercitato la potestà dei genitori”.

A differenza di quanto stabilito in caso di designazione testamentaria del tutore, in cui il giudice in presenza delle circostanze sopra descritte può disattendere la volontà del genitore defunto, in questa ipotesiil tenore della norma rende evidente che non esista alcuna discrezionalità da parte del giudice tutelare.

Il giudice, in caso di espressa menzione da parte del genitore, non potrà in nessun caso nominare la persona esplicitamente esclusa dal de cuius, ancorché manchi una designazione in positivo o gravi motivi vi si oppongano e, persino, se il soggetto escluso sia l’unico ascendente o prossimo parente, rappresentando la manifestazione scritta della volontà di esclusione un’inderogabile causa di incapacità all’ufficio tutelare.

Un’ulteriore ipotesi di incapacità all’ufficio prevista dall’art. 350 impedisce la nomina di “coloro che hanno o sono per avere o dei quali gli ascendenti, i discendenti o il coniuge hanno o sono per avere col minore una lite, per effetto della quale può essere pregiudicato lo stato del minore o una parte notevole del patrimonio di lui”. Così come normativamente previsto nel caso di domanda di dispensa ex artt. 352 e 353, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che se la persona investita dell’ufficio diviene incapace all’esercizio ex art. 350 per una causa sopraggiunta alla nomina, questa “deve in ogni caso conservare l’incarico sino al momento della sua sostituzione da parte del giudice”.[7]

Infine, l’art. 354 stabilisce che, qualora il minore non abbia nel luogo del proprio domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l’ufficio, la sua tutela “può essere deferita dal giudice ad un ente di assistenza nel comune dove ha domicilio il minore o all’ospizio in cui questo è ricoverato”. Per l’esercizio della funzione di tutela, l’amministrazione dell’ente o dell’ospizio provvederà poi a delegare uno dei propri membri, permanendo in ogni caso in capo all’ente la titolarità dell'ufficio tutelare.

In questo caso può parlarsi di “tutela assistenziale”, essendo delegato all’esercizio della tutela un soggetto estraneo alla cerchia familiare del minore e comunque non previamente designato dai genitori, individuato in ragione della sua qualità di membro di un istituto, di un collegio o di un convitto finalizzato appunto all’assistenza di minori privi di un tutore persona fisica.

Il secondo comma dell’art. 354 prevede tuttavia la facoltà del giudice di nominare in ogni caso quale tutore una persona fisica, quando la natura o l’entità dei beni di proprietà del minore o altre circostanze lo richiedano.

Ai sensi dell’art. 383 c.c., una volta nominato il tutore, questo può sempre essere esonerato dall’ufficio, con necessario provvedimento del giudice[8], qualora ricorrano congiuntamente due presupposti: l’esercizio dell’incarico sia al tutore “soverchiamente gravoso” e vi sia altra persona atta a sostituirlo.

L’impiego dell’avverbio “sempre” in tale disposizione lascia presumere che il predetto esonero, ricorrendone le condizioni previste, possa essere disposto dal giudice in qualunque momento, sia su domanda dell’interessato che d’ufficio.

Secondo la dottrina la condizione dell’incarico soverchiamente gravoso può ritenersi soddisfatta quando si registri una sproporzione tra, da una parte, le attività inerenti all’ufficio, l’impegno e il tempo necessari all’esercizio di esso e, dall’altra, le capacità e le condizioni personali ed economiche del tutore. L’ulteriore presupposto previsto dalla norma, ossia la presenza di altra persona idonea a sostituire il tutore, pare riferirsi soltanto alle persone fisiche e che quindi, in caso di esonero del tutore, non possa intervenire la tutela affidata ad enti assistenziali ex art. 354 c.c. Tale articolo infatti, ut supra già precisato, prevede il ricorso alla tutela assistenziale solo per i minori “che non hanno nel luogo del loro domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l’ufficio del tutore”. [9]

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Da quanto sopra esposto possiamo pertanto affermare che fare il tutore risulta un “dovere civico di solidarietà”.[10]

In primo luogo, infatti, la persona prescelta non può rifiutare l’incarico se non in determinate circostanze normativamente previste. Appare ad ogni modo ragionevole che il giudice tutelare, prima di procedere alla nomina, effettuerà un’ampia valutazione che ben potrà addentrarsi nella verifica della reale intenzione di assumere l’ufficio da parte della persona designata e che una manifestata indifferenza verso l’interesse del minore potrà configurare grave causa ostativa ex art. 348 comma 2.

Tuttavia ciò che appare curioso è che non esista una norma che disponga obbligatoriamente, prima di procedere alla nomina, la preventiva audizione del tutore designato e che questo, salvi i limitati casi predetti, non possa autonomamente decidere di esimersi dall’assunzione di un così gravoso ufficio.

In secondo luogo, a seguito della nomina, il tutore potrà essere esonerato dall’incarico su sua richiesta o d’ufficio. Tuttavia, anche in questa circostanza, soltanto al ricorrere di precise condizioni e qualora sia già stato individuato il soggetto idoneo a sostituirlo.

In conclusione, è evidente che l’intera disciplina della tutela e, in particolare, quanto sopra esposto su designazione e nomina del tutore, manifesta come più volte ribadito che la ratiodell’istituto è esclusivamente finalizzata alla realizzazione degli interessi del minore, facendo prevalere ulteriori e/o diverse finalità soltanto in casi eccezionali, espressamente disciplinati dal codice.

 

Avv. Gioacchino Massimiliano Tavella                                    Dott.ssa Kilda Peretta


[1] Dati reperiti sul sito web del Tribunale di Monza -Servizi al cittadino - Moduli e schede informative – Tutela minore: http://www.tribunale.monza.giustizia.it/it/Content/Index/1948

[2] A. BUCCIANTE, La tutela dei minori, in Tratt. Rescigno, 4, 1997, p. 694.

[3] G. SALITO, I riflessi della legge n. 219/2012 sugli istituti di protezione del minore diversi dalla potestà, in Comparazione e Diritto Civile, 2013, p. 5.

[4] Cass. Penale 22-3-84, in Giust. Pen., 85, II, 3.

[5] Cass. Penale 19-2-51, in Giust. Pen., 1951, II, 580.

[6] Il primo dei due articoli disciplina la dispensa automatica che opera per il Presidente del Consiglio dei Ministri, i membri del Sacro Collegio, i Presidenti delle Assemblee legislative e i Ministri Segretari di Stato. Tali soggetti possono tuttavia far sapere al giudice tutelare di non volersi valere della dispensa.

[7] Cass. Civile 6-3-70, n. 554, rv. 345637.

[8] Cass. Civile 4-7-55, n. 2048, in GC, 1955, I, 1803.

[9] G. CAMPESE, Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli, in Teoria e pratica del diritto, Giuffrè Editore, Milano, 2008, pag. 161-162.

[10] AA.VV., Il tutore volontario… quasi un micro-garante, articolo pubblicato nella newsletter “minori e garanzie”, Regione Emilia Romagna – Garante per l’infanzia e l’adolescenza, luglio 2014.